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Tesi etd-10252022-120100

Tipo di tesi
Corso Ordinario Ciclo Unico 5 Anni
Autore
ZARI, PIER FRANCESCO
URN
etd-10252022-120100
Titolo
Un'analisi critica del "Modello 231" e degli enti no profit alla luce della riforma del Terzo settore. Questioni applicative, il ruolo dei controlli interni e l'adozione del modello organizzativo nel d.lgs. 231/2001
Struttura
Cl. Sc. Sociali - Giurisprudenza
Corso di studi
SCIENZE GIURIDICHE - SCIENZE GIURIDICHE
Commissione
Tutor Prof. COMANDE', GIOVANNI
Relatore Prof.ssa MORGANTE, GAETANA
Relatore Dott. DI VETTA, GIUSEPPE
Membro Prof.ssa GAGLIARDI, MARIA
Presidente Prof. MARTINICO, GIUSEPPE
Membro Prof. CHITI, EDOARDO
Membro Prof.ssa SGANGA, CATERINA
Membro Prof. ROSSI, EMANUELE
Parole chiave
  • D.Lgs. 231/2001 - Terzo Settore - Controlli
Data inizio appello
01/12/2022;
Disponibilità
completa
Riassunto analitico
L’importanza dei controlli interni anche nell’ambito degli enti appartenenti al c.d. “Terzo Settore” è stata pienamente compresa dal legislatore che, con la legge 6 giugno 2016, n. 106, nel delegare il Governo per la riforma dell’intero comparto, enunciava tra i principi e i criteri direttivi anche quello inerente alla necessità di disciplinare gli obblighi di controllo interno, di rendicontazione, di trasparenza e d’informazione, tenuto conto di quanto previsto dal D.Lgs. n. 231/2001. Nell’attuazione della delega, deve essere peraltro considerata la circostanza che l’Autorità Nazionale Anticorruzione si è già pronunciata sull’argomento, stabilendo un vero e proprio obbligo di adozione del “modello 231” per gli enti del terzo settore affidatari di servizi sociali. L’elaborato riguarda, dunque, la questione circa l’applicazione della disciplina di cui al D.Lgs. n. 231/2001 al Terzo Settore e, più in generale, circa l’ambito soggettivo di applicazione del D.Lgs. n. 231/2001, con particolare riguardo al discusso riferimento di cui all’art. 1, concernente l’applicabilità della disciplina anche ad enti ed associazioni privi di personalità giuridica. Il tema si pone, in particolare, con riguardo alla applicazione del D.Lgs. n. 231/2001 agli enti senza scopo di lucro, con specifico riferimento agli enti del Terzo Settore. Compliance ed Enti del Terzo Settore, quindi, sono gli ambiti di indagine, dove la “compliance 231” diventa una categoria generale di organizzazione ed, eventualmente, riorganizzazione delle attività a rischio di illecito, anche oltre la struttura classica e incontestabile di destinazione del D.Lgs. n. 231/2001, cioè della società di capitali, dotata di scopo di lucro, con autonomia patrimoniale perfetta e con un livello di soggettività giuridica separato da quello dell’autore del reato presupposto. La tematica si è riaccesa, peraltro,alla luce di alcune significative pronunce sul tema della Corte di Cassazione penale sull’ambito soggettivo di applicazione del D.Lgs. n. 231/2001, quindi sia con riferimento all’imprenditore individuale, sia, più in generale, la questione (connessa anche al relativo dibattito teorico) sui parametri soggettivi di applicazione della disciplina “231”. Quello del Terzo Settore è un caso limite che mette in discussione l’intera struttura finora concepita del modello di cui al D.Lgs. n. 231/2001: la stessa tendenza della giurisprudenza (come quella della Corte di Cassazione e dei Tribunali di merito [come Roma, Milano, Torino], anche tenuto conto della geopardizzazione dell’applicazione del D.Lgs. n. 231/2001), volta a estendere l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina “231” a tutti quegli enti che, indipendentemente dall’etichetta formale, rispondano alle caratteristiche del target del D.Lgs. n. 231/2001 (quindi, di enti che abbiano una minima struttura organizzativa sovra-individuale e una minima autonomia patrimoniale rispetto al piano del patrimonio individuale dei soci o dell’imprenditore), è utile anche in una prospettiva general-preventiva per evitare scelte elusive da parte di chi si vuole organizzare nell’ambito di un’attività lato sensu imprenditoriale e che, quindi, potrebbe, proprio per non ricadere nella tagliola della puntigliosa disciplina del D.Lgs. n. 231/2001, scegliere un assetto organizzativo funzionale a ripararsi dagli adempimenti, nonché dalle possibili conseguenze sanzionatorie del Decreto. Così si limita il c.d. privilegio della disapplicazione del D.Lgs. n. 231/2001 solo agli enti pubblici e,in un’ottica di funzione general-preventiva, sia negativa che positiva, l’attività di compliance del D.Lgs. n. 231/2001 può avere un significato importante anche nell’ambito di attività che non vengono svolte a scopo di lucro.
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